domenica 26 febbraio 2012

FRANCESCO D'ANSELMO,UNA PROFESSIONALITA' D'ECCELLENZA ALLA GUIDA DEL CARCERE DI SASSARI CON OBIETTIVI AMBIZIOSI


"Il carcere deve creare un utile cittadino, consentire a chi è recluso di sottoporre a una visione critica il passato. E chi lo fa, dev'essere premiato". Lungi dal voler dispensare pillole di filosofia Francesco D'Anselmo, 54 anni, si sta arrotolando le maniche della camicia. Napoletano, laurea in Giurisprudenza, specializzazioni in Diritto amministrativo e del Lavoro, da ottobre è direttore di San Sebastiano. Tre i suoi obiettivi: detenuti liberi all'interno dell'istituto, niente più suicidi e trasferimento al nuovo carcere di Bancali appena possibile: "Spero entro il prossimo anno, a costo di portare i vecchi letti".
La sfida più difficile parte da un ossimoro: garantire ai reclusi la "libera" circolazione nel perimetro carcerario. E se il perimetro è quello della casa di pena sassarese, divenuta nota nel 2000 per i pestaggi ai detenuti, il progetto può sembrare utopia. Da sei anni direttore della Scuola di formazione del personale penitenziario di Monastir, ha vent'anni d'esperienza tra le celle di mezza Italia: Rimini, Parma, Forlì, Ancona, Castelfranco Emilia, che nel 2005 trasformò nel penitenziario a misura di tossicodipendente, sorta di spazio intermedio tra luogo di detenzione e comunità di recupero, poi finito nell'occhio del ciclone per contrasti con San Patrignano. Esperienza della quale D'Anselmo resta orgoglioso. Certo che si possa umanizzare persino il decadente istituto di via Roma, che guida solo tre giorni alla settimana, da dirigente-pendolare di un Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con grosse carenze d'organico.

San Sebastiano sarà il peggiore istituto della sua carriera.
"Sotto il profilo strutturale, sì. È cosa nota. L'edificio è vetusto e per migliorarlo occorrono continui pareri della Soprintendenza perché è un bene tutelato. Ma cerchiamo di fare piccoli interventi, dove si può".

Appunto, come le viene in mente di lasciare i detenuti liberi nelle sezioni per tutto il giorno?
"Non è solo una mia idea, è un intendimento del Dap. Ma è l'Europa che ce lo ha chiesto quando la Corte di Giustizia ha condannato parzialmente l'Italia per la detenzione. Quel verdetto impone di garantire uno spazio minimo di 7 metri quadrati per recluso".

Con i nostri 8 detenuti in stanze da 16 mq, siamo molto lontani.
"È per questo che dobbiamo iniziare a compensare queste carenze in altri modi, ad esempio mettendo a disposizione spazi alternativi come una sala ricreazione, un posto dove i detenuti possano incontrarsi, parlarsi, fare giochi di società o uno sport quale il ping pong. Non lo dico io, lo prevedono alcune circolari del Dap che ritengo molto coraggiose, che hanno preso atto del sovraffollamento e cercano di porvi rimedio. In questo caso, a costo zero".

Nel 2008 un detenuto è morto con un cappio al collo, forse per un omicidio. Da allora ci sono stati altri due suicidi. Per non parlare dell'inchiesta in corso su un possibile traffico di droga tra i bracci. Come si fa a tenere i detenuti liberi?
"Credo che possiamo farcela, anzi dobbiamo. Per prima cosa studiamo la storia di ogni recluso, vicenda giudiziaria e comportamento in istituto. Esclusi quelli ad alta pericolosità, in base alla valutazione assegniamo una sorda di bollino, bianco, giallo o rosso. Ovviamente, il codice bianco è attribuito a chi può essere trasferito nella sezione, per ora solo una, dove le porte delle stanze saranno aperte. Iniziamo con una fase sperimentale, con circa 25 detenuti con codice bianco. Ma l'intento è quello di estenderlo a tutti".

Come fa a non temere per la sicurezza? Finora le politiche detentive sono state incentrate su questo anche per i vuoti d'organico della polizia penitenziaria.
"Sono fiducioso. Rendere la detenzione più umana deve essere un imperativo. La sicurezza e il trattamento devono interagire. Solo così i detenuti iniziano a responsabilizzarsi: chi ha il codice bianco e infrange le regole perché fa qualcosa di sbagliato, torna ad essere recluso come prima. Sono convinto che nessuno rischi di perdere la possibilità di stare meglio".

I gesti di autolesionismo e i suicidi sono ancora troppi, in tutta Italia.
"È questo l'aspetto che ci preoccupa di più. Stiamo lavorando per aumentare il contatto con i familiari: cerco di concedere più telefonate, anche verso i cellulari (proibite, tranne in casi particolari, ndr) proprio perché sono convinto che sentirsi vicini ai propri affetti faccia da deterrente alla disperazione".

Non può bastare nelle carceri-discarica del nostro Paese.
"Lo so, ma punteremo sul lavoro, con progetti esterni o piccoli incarichi nel carcere. Penso ai voucher Inps, buoni convertibili in contributi, a chi tinteggia le pareti della stanza e così via. Oggi sembra un'utopia. Ma so che è possibile".


Termina quì l'intervista rilasciata dal dr. D'Anselmo a " La Nuova Sardegna"

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