venerdì 20 dicembre 2013

SICUREZZA SOCIALE INNANZITUTTO


Gagliano deve farci paura


La vicenda dell'evasione del serial killer a Genova dimostra le falle nel sistema giudiziario e giuridico - L'intervista al magistrato che ha concesso il permesso - 


Gagliano deve farci paura
I carabinieri con la foto segnaletica di Bartolomeo Gagliano
Credits: ANSA/FRANCO SILVI


di Barbara Benedettelli

Un serial killer semi-infermo di mente e armato è libero grazie a un permesso “premio”. Ha una pistola. La sua firma è uno sparo in bocca. Non è un film. E’ una verità che dimostra come questo Stato sia alla frutta, marcia. Gravissimo che magistrato di sorveglianza  e direttore del carcere non sapessero che stavano mettendo in libertà “il serial-killer di San Valentino”, per di più definito molto pericoloso dalle forze dell'ordine. E se questo è il modus operandi usato di norma per elargire premi e cotillon ai criminali, e più o meno lo è, dobbiamo individuare anche i veri responsabili e intervenire immediatamente, prima che la gente debba patire violenze inaudite a causa di un sistema assassino e incapace di tutelare i cittadini. 
Il pluriomicida aveva già tentato di evadere in passato, durante i permessi premio per giunta, ed è quello che possiamo definire un delinquente per tendenza. Mi viene da definire stolto per tendenza uno Stato che reitera provvedimenti premiali verso persone simili. In questi casi, almeno, la legge non dovrebbe contemplare la possibilità di uscire dal carcere per chi ha ucciso e ha un’indole distruttiva. La risocializzazione non deve essere ad ogni costo, anche al costo di vite umane spezzate. Invece, per “non” risolvere un problema come quello del sovraffollamento carcerario in modo strutturale - a partire dalla revisione del sistema rieducativo premiale che ha dimostrato il suo fallimento - si continuano a fare leggi che demoliscono ogni giorno di più la base sul quale uno Stato si fonda: la certezza che se infrangi una legge ne paghi la conseguenza, anche per tutta la vita se serve. 
E non si gridi all'allarmismo gratuito. Il pericolo è tremendamente concreto. Lo Stato, attraverso leggi sbagliate e funzionari distratti, ha lanciato una bomba sulla folla. Non resta che pregare che non accada ancora ciò che è già accaduto con le stesse modalità: permesso premio, evasione, omicidio. 
Ora la politica ha il dovere di parlare seriamente di responsabilità civile dei magistrati - e anche penale se una scelta implica la violenza o la morte verso anche un solo cittadino. Una responsabilità che è, in primis, del legislatore e di un sistema giudiziario folle, che tutela i delinquenti ogni oltre ragione. Ci sono perfino casi di assassini condannati come incensurati (quindi con le attenuanti) perché, pur avendo commesso altri crimini (passibili dunque di aggravanti per recidiva) questi non sono stati ancora registrati. Follia pura.
Quando si parla di riforma della giustizia non si può prescindere dalla revisione articolo per articolo di tutto il sistema. Come non si può prescindere dalle Vittime dei rei, chissà perché mai contemplate.
Il caso Izzo, costato una condanna della Corte Europea all’Italia, non ha insegnato nulla? Nel 2005, mentre era in regime di semilibertà, Angelo Izzo, conosciuto come “il mostro del Circeo”, ha ucciso Maria Carmela Maiorano e la figlia Valentina, di soli quattordici anni. Le ha uccise con le stesse dinamiche che lo hanno costretto al carcere nel 1975. Leggendo la causa Izzo-Maiorano contro l’Italia, intentata dalla famiglia delle Vittime alla Corte Europea, mi sono soffermata su alcuni punti che riguardano la difesa dell’avvocatura dello Stato. Nella causa si legge che “la responsabilità dello Stato riguardo all’articolo 2 (Diritto alla vita) è messa in discussione soltanto quando vi è un pericolo prevedibile, reale e concreto per la vita”. Ma se un ordinamento giudiziario si avvale del “precedente” per stabilire una condanna riconoscendo forza alla storia della persona, non dovrebbe riconoscere la stessa forza a quella storia quando si tratta di stabilire un beneficio in libertà? Davvero quando ci sono gravissimi precedenti il rischio per l’incolumità delle persone non è prevedibile? 
Andando avanti nella lettura del fascicolo si legge: “La semplice possibilità che un individuo che ha già ucciso possa uccidere una seconda volta non può essere sufficiente; concludere diversamente equivarrebbe rinunciare a priori a qualsiasi misura di reinserimento per gli assassini”. Vengono i brividi. Il reinserimento degli assassini, per di più seriali, vale di più della “semplice” possibilità che possano uccidere ancora? Questo è il pensiero che muove i fili della nostra giustizia? Come si può “prevenire” se si ragiona in questi termini? Davvero la semilibertà di un assassino nella scala dei valori e dei diritti è fondamentale e primaria rispetto alla possibilità (concreta!) che un qualsiasi essere umano innocente e libero possa morire ammazzato? Una “semplice possibilità” può diventare, da un momento all’altro, un’agghiacciante e devastante realtà. Il diritto al reinserimento non può venire prima del dovere della prevenzione.
Non può esserci sempre una scappatoia in grado di mettere la responsabilità personale al secondo, al terzo, all’ultimo posto. Non può farlo nessuno, né il criminale, né la legge, né il magistrato che di quella legge dà un’interpretazione che si riflette spesso in una mezza assoluzione.
L’ordinamento penitenziario è premiale e il premio avrebbe lo scopo che ha la carota per il cavallo. Ma gli uomini non sono cavalli. E non hanno bisogno né di bastone né di carote, ma di regole severe e certe. Non si chiede la tortura, si chiedono pene adeguate al reato e al valore del bene leso o distrutto, e così umane, pur nella severità, da essere in grado di trasformare l’a-moraleinmorale, l’a-socialeinsociale. 
La recidiva non è un’opinione e mentre cerchiamo un metodo educativo sicuro ed efficace al 100 per cento, forse dovremmo, per il bene comune, puntare la bussola del procedimento penale sugli innocenti che i reati non li commettono e sulle Vittime invece che sui criminali. Come scriveva Camus: “Bisognerebbe che la legge, per essere intimidatoria, non lasciasse via di scampo all’omicida, che fosse per principio implacabile e che soprattutto, non ammettesse nessuna circostanza attenuante”, noi invece ci preoccupiamo, prima che della tutela della vita, della risocializzazione degli assassini, anche plurimi. Evviva!
L’articolo 27 della Carta costituzionale afferma al primo comma che «la responsabilità penale è personale», nessuno può essere punito per un fatto che non ha commesso. Giusto. Ma quando lo ha commesso deve essere punito fino all’ultimo giorno di una condanna certa, universalmente accettata, adeguata al crimine commesso, non disumana ma severa e alla quale corrisponda una pena effettivamente scontata. 
L’indiscriminata prevalenza dell’ideologia risocializzativa ha reso ininfluente il principio di pericolosità sociale, presupposto applicativo della carcerazione, verso la quale manca un controllo costante, con i risultati che tutti abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Gozzini, Simeone, indulti più o meno mascherati, hanno svuotato il significato di prevenzione e sicurezza, e i principi fondamentali della pena. La difesa sociale non è più il filo conduttore del sistema. Con il risultato che i criminali aumentano insieme ai loro reati, e pure il sovraffollamento carcerario! 
Per questo Fratelli d’Italia ha depositato un ddl , a prima firma Edmondo Cirielli, che altri partiti dovrebbero valutare, per revisionare l’articolo 27 della Costituzione. Oggi questo articolo si legge solo dal punto di vista dei detenuti e ha perso la sua ragione primaria, che è quella della difesa sociale e della responsabilità penale. Come afferma la Corte Costituzionale con la sentenza numero 12 del 1966, “la rieducazione del condannato, pur nell’importanza che assume in virtù del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio. [...] Rimane in tal modo stabilita anche la vera portata del principio rieducativo, il quale, dovendo agire in concorso delle altre funzioni della pena, non può essere inteso in senso esclusivo e assoluto. [...] E ciò, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende la esistenza stessa della vita sociale.” Ripeto, da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale!

www.panorama.it

mercoledì 18 dicembre 2013

IL KILLER "RIEDUCATO"

Evasione carcere Genova: Cancellieri, episodio gravissimo

18 dicembre 2013

Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in relazione all’evasione di Bartolomeo Gagliano, detenuto in permesso premio dalla Casa circondariale di Genova-Marassi, dichiara quanto segue:

“Si tratta di un episodio gravissimo che richiede un accertamento molto rigoroso. Inutile negare che questo rischia di essere un duro colpo a quanto stiamo facendo per rendere il carcere un luogo più civile e in grado di assolvere alla propria funzione rieducativa. Faremo chiarezza ed individueremo eventuali responsabilità. Fatti di questo genere non possono e non devono accadere.” 

mercoledì 11 dicembre 2013

INDULTO.I NUMERI DICONO DI NO

La riforma delle carceri va fatta ma su basi solide. Ecco cosa dicono le cifre del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria)

Indulto. I numeri dicono no
Il Carcere di Varese
Credits: ANSA/ENZO LAIACONA

di Barbara Benedettelli
Il Colle chiede responsabilità al Parlamento sull'indulto. Dovrebbe invece chiedere responsabilità verso i cittadini e verso le vittime dei reati e pretendere, come chiede la Corte Europea con al Sentenza Torregiani, una riforma strutturale del sistema carcerario, penale e penitenziario che non contempli, come si legge nella sentenza pilota, provvedimenti come indulto e amnistia. 
La riforma è necessaria ma va fatta su basi solide. Non si può fare una riforma basandosi su dati scorretti, incompleti e faziosi.
La comparazione tra i recidivi che hanno usufruito del beneficio dell'indulto 2006 e quelli che non ne hanno usufruito decantata da più parti per mostrare che l’indulto è una “misura educativa”, è di fatto impossibile. Il risultato che ne emerge è scorretto e viene utilizzato in modo distorto.
Dopo l’indulto, secondo i dati forniti dal Ministro Cancellieri a ottobre del 2013, il numero dei detenuti è cresciuto, rispetto a prima, in media di 7000 soggetti in più ogni anno. Il ritmo di crescita dei detenuti è stato alto per i primi quattro anni successivi, fino a giungere, nel 2009, a un picco di oltre 69.000 presenze in carcere, 30.000 in più di quelli presenti dopo l’applicazione dell’indulto.
Per quanto riguarda la recidiva di chi non ha usufruito dell’indulto viene utilizzato il dato emerso dalla rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del DAP, citata dallo studio di Fabrizio Leonardi (2007), che ha mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, ha fatto reingresso in carcere una o più volte. Il periodo di riferimento (1998-2005) è però superiore di due anni rispetto al dato rilevato per la recidiva di indultati, che invece si ferma a 4 anni (2007-2011). E due anni in più possono incidere notevolmente sulla percentuale.
Ma la cosa più rilevante ai fini della scorrettezza del dato rispetto a ciò che dovrebbe rappresentare, è nel fatto che non tiene conto di coloro che hanno reiterato dopo avere usufruito dell’indultino del 2003. 
Per quanto riguarda invece il dato utilizzato per la comparazione riguardante i recidivi indultati nel 2006, se si usa l’ultimo disponibile che si ferma a dicembre 2011, pari al 33,92%, si mostra un dato parziale in quanto non tiene conto di coloro che hanno usufruito del beneficio e che si trovavano alle misure alternative. Ma anche unendo recidivi che erano in carcere + recidivi che erano alle misure alternative, la percentuale che ne risulta resta parziale.
Il numero riguardante gli indultati che erano alle misure alternative è infatti stato rilevato su un campione di ex-detenuti pari a 7.615 su un totale di 17.387 individui, a differenza del dato di recidiva di indultati che erano in carcere che riguarda la totalità. Inoltre, la rilevazione sul campione è terminata nell’ottobre del 2008 ovvero tre anni prima di quella sui recidivi che erano usciti dal carcere. 
Aggiungiamo una riflessione: prima dell’indulto le persone che erano alle misure alternative non creavano certo il problema del sovraffollamento, ci chiediamo dunque per quale motivo fossero state liberate anzitempo, anche in virtù del fatto che la messa in prova è ritenuta, dai detrattori delle misure detentive in carcere, altamente rieducativa. Perché interrompere prima del tempo un trattamento ritenuto efficace? Su certe personalità fragili l’idea che alla fine non si paga mai del tutto per i reati commessi può essere considerata davvero rieducativa? Noi crediamo di no. Inoltre al danno si aggiunge la beffa.
Chi era alle misure alternative (e non occupava posti in carcere), ed è rientrato per avere commesso nuovi reati con una pena ovviamente superiore a quella che stava scontando prima dell’indulto, non andrà certo nuovamente alle misure alternative ma diritto in cella, contribuendo ad alimentare quel sovraffollamento che si afferma di voler eliminare. Possiamo chiamarla follia di Stato? Viene da pensare che non ci sia la volontà politica di risolvere questo problema definitivamente, perché altrimenti sarebbe impossibile fare passare in futuro altri provvedimenti di clemenza, che sono sempre stati un mezzo da utilizzare per compromessi e accordi politici di cui non ci è dato sapere.
Detto ciò, a noi interessa sottolineare che, sia il 10%, il 40% o il 70%, nella percentuale che si propina come un successo in termini di recidiva non ci sono solo i detenuti, ma ci sono anche i cittadini certamente innocenti che i reati li hanno subiti a causa di un provvedimento scellerato dello Stato. Ci sono le Vittime, che non possono essere considerate un peso, un effetto collaterale secondario, e che anzi fanno parte a pieno titolo dei costi sociali e umani di tali provvedimenti. Costi a volte così elevati da non poter essere nemmeno quantificati, specie quando si tratta di vite spezzate.
I reati i cui autori possono beneficiare dei provvedimenti di clemenza sono proprio quelli di maggiore allarme sociale, quelli che toccano le persone nella loro quotidianità come le rapine, i borseggiamenti, i furti. Reati che, come si dimostra l’elenco che segue, non escludono, anche grazie al senso d’impunità provocato dal provvedimento, che si vada oltre fino a uccidere:
Salvatore Buglione, rapinato da due delinquenti, uno dei quali indultato, mentre chiudeva l’edicola della moglie. E’ morto con una coltellata nel cuore.
Antonio Pizza, ventotto anni, sposato e padre di un bimbo di pochi mesi, è morto dopo una lunga agonia durante una rapina commessa da un criminale slavo, uscito pochi giorni prima grazie all’indulto.
Aniello Scognamiglio, 16 anni, investito e ucciso a Torre del Greco da ubriaco e drogato al volante. L’omicida, libero grazie all’indulto, in carcere ci era entrato per spaccio di stupefacenti, violenza, resistenza a pubblico ufficiale e reati vari contro il patrimonio
Paolo Cordova, farmacista, ucciso durante una tentata rapina da chi prima dell’indulto era dentro perché ne aveva commesse altre sei.
Luigia Polloni, morta strangolata per mano di un tossicodipendente indultato durante una rapina. Ne aveva alle spalle ben 25.
Antonio Allegra, morto sparato da Pietro Arena, fuori grazie all’indulto nonostante un tentato omicidio.
Barbara Dodi, 46 anni con due figlie a carico, strangolata in camera da letto con una cinta dal marito, già condannato per tentata rapina e libero grazie all'indulto.
Guido Pelliciardi e Lucia Comin, torturati, seviziati e poi uccisi in provincia di Treviso da un rumeno e da due albanesi irregolari che avevano già commesso rapine e violenza sessuale, fuori grazie all’indulto (ma la violenza sessuale non era reato escluso dal provvedimento?).
Antonella Mariani, 77 anni, aggredita e scippata cade a terra e sbatte la testa. L’assassino (eroinomane) aveva da pochi mesi beneficiato dell'indulto (siamo nel 2008), era in carcere per rapine e sequestro di persona
Florinda De Martino, mamma di 35 anni, uccisa a colpi d’ascia il 23 luglio del 2009 in un villino del quartiere Camaldoli a Napoli. Il fidanzato assassino nel 2002 aveva tentato di uccidere la ex moglie. Tentativo fallito solo perché la lama del coltello si spezzò nell’addome della donna. Condannato a sei anni con sconto per indulto (nonostante recidivo) è arrivato a tre, da cui vanno decurtati 9 mesi di sconti automatici.
Una sorte di condanna a morte autorizzata dallo Stato, quella ricevuta da questi e da altre decine di cittadini innocenti “morti d’indulto”, che hanno ricevuto un trattamento disumano di cui nessun umanitario si preoccupa. Queste persone sono solo una minuscola parte di quelle che sono morte ammazzate da chi era fuori grazie all’indulto del 2006, e non abbiamo dati relativi a quello parziale del 2003, ma ne basterebbero due per rendere lo Stato, e tutti coloro che hanno votato quel provvedimento, mandanti di pluriomicidio.
L’elenco appena mostrato afferma con forza e chiarezza che l’impunità è altamente diseducativa (contraria dunque all’art.27 della Costituzione tirato in ballo spesso a proprio comodo e del quale si dimentica il principio di responsabilità penale). Queste persone oggi potrebbero essere ancora vive se quell’indulto non ci fosse mai stato.
Invece sono morte e per niente, perché già dopo due anni la capienza regolare era superata e perché alla fine questi provvedimenti hanno un solo “pregio”, permettere ai politici di rilassarsi sugli allori, mentre la gente, fuori e dentro le carceri, muore. Si parli di legalità all’interno delle carceri, di diritto alla dignità, siamo d’accordo, ma senza mai dimenticare che l’unica libertà che deve essere tutelata sopra ogni altra è quella che rispetta i confini delle libertà altrui.
Se vogliamo davvero risolvere il problema del sovraffollamento, del sistema rieducativo, della sicurezza dei cittadini, dobbiamo lavorare su dati corretti. Una comparazione che si possa dire credibile e realistica deve essere effettuata su dati rilevati con lo stesso metodo statistico e nello stesso arco temporale.