mercoledì 30 aprile 2014

CARCERI OLANDESI : PIU' PERSONALE CHE DETENUTI


Carceri Paesi Bassi
  • HOME 
  •  
  • MONDO 
  •  
  • Il problema delle carceri olandesi: pochi detenuti

Il problema delle carceri olandesi: pochi detenuti

Da qualche tempo ci sono più guardie che persone detenute, con conseguenze pesanti sui costi delle strutture e del personale


Di solito quando si parla di carceri, in Italia e non solo in Italia, a fare notizia è il sovraffollamento: la presenza di un numero eccessivo di persone detenute in strutture non abbastanza capienti. Nei Paesi Bassi, però, secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero della Giustizia, ci sono più guardie e dipendenti dei penitenziari che detenuti. Nel 2008 in tutti i Paesi Bassi, che hanno 17 milioni di abitanti, si contavano circa 15 mila persone detenute. Nel marzo del 2014 quel numero è sceso a 9.710, a fronte di 9.914 guardie; più o meno una guardia ogni detenuto, mentre negli Stati Uniti, per capirci, il rapporto è di uno a cinque e in Italia il dato più recente è del 2011 e parla di 35.458 guardie carcerarie per 67.104 detenuti, ossia di una guardia ogni 1,9 detenuti.
Nei Paesi Bassi il tasso di criminalità si è abbassato ma non di quanto è sceso il numero dei detenuti. Il portavoce del ministero della Giustizia, Jochgem van Opstal, ha commentato i dati dicendo che il governo sta «studiando quale sia la ragione del declino», ma sono in molti a pensare che le sentenze ele pene nei Paesi Bassi siano troppo leggere rispetto ai crimini commessi. Intanto il problema delle carceri è l’esubero di personale e l’alto costo per il mantenimento delle strutture: il ministero ha già in programma di chiudere alcuni istituti e di tagliare circa 3.500 dipendenti. Ci sono poi in discussione due diverse proposte per far fronte ai costi delle carceri: la prima – avanzata dalla coalizione di governo guidata dal partito del primo ministro Mark Rutte (VVD) e dal Partito laburista (PvdA) – prevede di far pagare 16 euro al giorno ai detenuti per almeno due anni; la seconda prevede la richiesta di un contribuito ai detenuti anche per i costi delle indagini e del processo.
Il tasso di popolazione carceraria nei Paesi Bassi non è comunque il più basso del mondo. Secondo i dati OCSE del 2009, sono l’India, l’Islanda e l’Indonesia ad avere il numero più basso di detenuti rispetto al numero di abitanti. In India, nel 2009, ogni 100 mila persone c’erano 33 detenuti. Nei Paesi Bassi erano 100 ogni 100 mila. Uno studio condotto nel 2013 dal Consiglio d’Europa fornisce dati più aggiornati sui paesi europei e risulta che i Paesi Bassi hanno attualmente 69,5 detenuti ogni 100 mila abitanti (l’Italia ne ha 110,7, mentre la posizione più bassa in classifica è occupata dalla Lettonia con 316 detenuti, e la più alta dalla Finlandia con 60,7).
da "IL POST "  del 15.04.2014 - Foto: l’ingresso del carcere di massima sicurezza di Vught, nella provincia del Brabante Settentrionale (ROBERT VOS/AFP/Getty Images

giovedì 24 aprile 2014

IL REALISMO POLITICO DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA ORLANDO

Audizione del Ministro della Giustizia Andrea Orlando in Commissione Giustizia del Senato della Repubblica 23 Aprile 2014

Estrapoliamo e pubblichiamo la parte dell'audizione relativa alle carceri.



Il Ministro ORLANDO


LA CONDIZIONE DELLE CARCERI


In primo luogo, l’attenzione non può che rivolgersi alle condizioni del carcere,condizioni che non soltanto confliggono con le indicazioni dell’art. 27 della Costituzione, ma ancor più distorcono le finalità del sistema della pena, producendo un meccanismo perverso che assorbe ogni risorsa disponibile a fronte di un impressionante tasso di recidiva.Se anche ci si volesse disinteressare della condizione inflitta ad uomini e donne, se pure si volesse ignorare il richiamo che viene da giurisdizioni internazionali alle quali abbiamo volontariamente aderito, è impossibile rimuovere un dato: il nostro è un sistema costoso che non produce sicurezza se lo si compara con gli altri sistemi del nostro continente.  
Il nostro sistema penale resta, infatti, o almeno è rimasto sino alle ultime innovazioni normative uno dei pochi in cui il carcere resta la forma quasi esclusiva di sanzione, a cui si accompagnano tassi di recidiva che sono impressionanti.Il Parlamento e i governi hanno avviato negli ultimi anni un’inversione di tendenza che ha attenuato questo dato ma non lo ha superato.La vicenda Torregiani con la condanna dell’Italia da parte di Strasburgo, deve costituire una occasione di riflessione complessiva e di crescita che vada al di là del mero superamento dell’emergenza.Il precedente Governo ha affrontato la drammatica emergenza del sovraffollamento carcerario e delle condizioni di vita delle persone detenute con due interventi normativi d’urgenza, il d.l. n. 78/2013 e il d.l. n. 146/2013.
Dopo l’insediamento del Governo,il Parlamento ha approvato la delega per la depenalizzazione dei reati di minore allarme sociale e per la implementazione della detenzione domiciliare, in una logica di ripensamento delle pene detentive, nonché misure per l’affidamento in prova ai servizi sociali con sospensione del processo, sul modello della Probation, già collaudato con successo per i minori. Per attuare queste due deleghe in tema di depenalizzazione e di detenzione domiciliare ho istituito una commissione di studio, per dare una celere attuazione. Come noto, poi, è in discussione un disegno di legge di iniziativa parlamentare di
riforma della custodia cautelare, in termini di maggior rigore dei presupposti per la sua adozione.
Si è così definita una tendenza legislativa volta all’introduzione di misure per la riduzione dei flussi detentivi in entrata (attraverso un più rigoroso regime della custodia cautelare, la depenalizzazione, l’affidamento in prova e le misure detentive domiciliari (in corso di attuazione), la rivisitazione delle sanzioni in materia di stupefacenti), e, dall’altro lato, la previsione di ulteriori misure per l’aumento dei flussi in uscita. I risultati ottenuti sin qui sul versante della diminuzione della popolazione carceraria sono sicuramente importanti, tuttavia non possono essere ritenuti risolutivi.
Sono notevolmente diminuiti ad esempio i flussi medi di ingresso, si sono significativamente ridotte le presenze di detenuti in attesa di primo giudizio (da oltre 21.000 alla data del 31 dicembre 2009 ai poco più di 10.000 in base ai dati di questo mese); è grandemente cresciuto il numero di detenuti ammessi a misure alternative (passando dai 12.455 alla data del 31.12.2009 ai 29.223 alla data del 31.12.2013). Trend apprezzabili ma non comparabili all’utilizzo delle pene alternative negli altri Paesi. Ma la questione carceri esige non semplicemente che questo processo, mi auguro, si sviluppi e si consolidi. Occorre, più in generale, ripensare il nostro modello penitenziario, per assicurarne l’efficienza di gestione e per tutelare al livello più alto possibile la dignità delle persone che vi sono ristrette e di quelle che vi lavorano. Sull’uno e sull’altro versante sono in corso ulteriori e, credo, importanti interventi.Il Ministero sta procedendo ad implementare questo sforzo con ulteriori misure,anche di carattere amministrativo:

 lo sviluppo degli ICAM e delle case famiglia protette;
 la definizione di convenzioni con le regioni per l’avvio di detenuti tossicodipendenti a centri regionali, nonché per la promozione del lavoro carcerario e delle condizioni di tutela della salute in carcere;
l’attuazione delle convenzioni internazionali, e la stipula di nuove, per avviare i detenuti stranieri a scontare la pena nel Paese di origine (da ultimo la convenzione con il Marocco)
 l’anticipazione della uscita dei detenuti dagli ospedali psichiatrici giudiziari;  
 il monitoraggio del rispetto del termine di legge, da ultimo, mio malgrado e malvolentieri prorogato, per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari;
la razionalizzazione del patrimonio di edilizia carceraria (attraverso l’apertura di nuovi carceri e la chiusura di quelli minori, la cui dimensione ne rende ormai irrazionale l’utilizzo a causa di costi di gestione e del personale non più sostenibili).
Soprattutto, si stanno valutando e attuando iniziative per il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti che non si limitino alla dimensione minima dello spazio vitale, impostoci da Strasburgo (i famosi tre metri quadrati, condizione, è bene ricordarlo, considerata necessaria, ma non sufficiente dalla Corte), ma che assicurino condizioni carcerarie di qualità adeguata ad attuare il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. Strasburgo non ci parla solo di metri quadri ma del funzionamento del sistema penitenziario. In questa prospettiva si muovono iniziative congiunte con Regioni ed Enti locali, nonché mondo delle imprese e della scuola, per attività scolastiche e culturali in favore dei detenuti, lavoro all’esterno, lavoro volontario. Ho avvertito in questo quadro la necessità, a favore dei detenuti ed anche della collettività, di sensibilizzare le istituzioni e gli uffici il cui apporto è indispensabile:

le Regioni;
i procuratori generali delle corti d’appello, per promuovere le procedure di trasferimento all’estero delle persone condannate;
la magistratura di sorveglianza;
 i direttori di ospedali psichiatrici giudiziari.

Occorre, in tal senso anche il supporto di altri Ministeri, quale quello del Lavoro per dare copertura assicurativa ai detenuti lavoratori volontari in favore degli enti locali,quello dell’Università e ricerca per progetti di istruzione e cultura in favore dei detenuti.Malgrado gli sforzi messi in campo sin qui, sarà verosimilmente necessario un ulteriore correttivo normativo della disciplina attuale, per dare ottemperanza effettiva e puntuale alla sentenza Torregiani e altri, e mi riferisco alla necessità di prevedere un rimedio compensativo, circoscritto in favore dei detenuti che abbiano già subito trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art. 3 della Convenzione EDU. Lo esige la Corte europea dei diritti dell’uomo e lo impongono le leggi internazionali che l’Italia ha liberamente assunto l’obbligo di rispettare. Auspico sul punto un confronto con il Parlamento.

mercoledì 2 aprile 2014

FINE PENA : MAI


L'ERGASTOLO NON VA ABOLITO E VI SPIEGO PERCHE'
di Barbara Benedettelli

                                             Barbara Benedettelli

Da anni sono vicina ai familiari di chi è stato ucciso. E insieme a loro lotto per contrastare un sistema che nega loro giustizia. Che non dà valore alle azioni, a quello che producono e soprattutto alle nostre vite. Tempo fa Veronesi ha affermato che “dopo dieci anni sia possibile liberare anche l’omicida più indiavolato senza pericolo per la collettività”. Ma una vita umana spezzata arbitrariamente da un uomo, può valere solo 10 anni di libertà negata? Il professore ha affermato che il male non esiste nell’uomo, che ha soltanto un’origine ambientale e non genetica e condannare un uomo di 40 anni per un delitto commesso a 20 è come condannare un’altra persona perché, ormai, non è più lui. Il cervello si rigenera continuamente. “Anche l’assassino più efferato dopo venti anni è cerebralmente differente dall’uomo che ha commesso quel delitto”.
Come mai allora Angelo Izzo, per fare un esempio tra i tanti, dopo 30 anni ha ucciso due donne mentre era in libertà vigilata con le stesse identiche modalità dei fatti del Circeo? E perché di due fratelli cresciuti dagli stessi genitori e vissuti nello stesso ambiente, uno diventa assassino e l’altro dottore? Il fatto che il cervello si rigeneri non significa che una persona diventi migliore di quello che geneticamente è.
Il male non ha origine genetica? Ci sono ricerche che affermano il contrario, come quella sul MAOA della dottoressa Terrie Moffitt, dell’Istituto di psichiatria del King’s College di Londra, che conferma la presenza del gene del male. E ne abbiamo ampia riprova ogni giorno. Veronesi ha detto che  “la Costituzione implica e obbliga alla rieducazione. E’ evidente che condanna a vita e rieducazione siano in banale contraddizione”. Ma la rieducazione come descritta nella nostra Costituzione non e un obbligo. Ad essa bisogna “tendere”, il che significa, in parole spicciole, che ci si deve provare. Non si dimentichi che – come affermano i criminologi che parlano di mito della rieducazione e utopia del trattamento carcerario –  la buona condotta si può simulare per ottenere benefici. Il sistema rieducativo va riformato, è chiaro a tutti. Il lavoro, per esempio, sul quale si fonda proprio la nostra Costituzione, dovrebbe essere, quello sì, un obbligo per i carcerati, perché attraverso di esso passa la dignità umana ed è per un adulto abituato a delinquere altamente rieducativo di per sé. Ma un’ideologia risocializzativa indiscriminata rischia di fare cadere il principio di pericolosità sociale, e se non c’è coscienza della pericolosità, non c’è controllo.


E la pena ha anche altri scopi dai quali non può prescindere e che sono primari: la dissuasione dal compiere i delitti e la retribuzione. Come si legge nella sentenza della corte costituzionale n°12 del 1966 in riferimento all’ art. 27 della Costituzione, “la rieducazione del condannato, pur nell’importanza che assume in virtù del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio… La vera portata del principio rieducativo deve agire in concorso delle altre misure della pena e non può essere inteso in senso esclusivo e assoluto…E ciò, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale” 
Ogni volta che si giustifica o si nega il male deresponsabilizzando le persone, quel male cresce. E spezza vite umane, per sempre. E chi tenta di attenuarne la portata o di spostarne la causa si rende in qualche modo complice. La legge deve essere implacabile con chi commette reati gravi come l’assassinio o con chi, come coloro che hanno il carcere ostativo, alimenta la mafia, il traffico di droga, sequestra le persone, è un terrorista e via dicendo. La legge, come diceva Camus, non dovrebbe ammettere circostanze attenuanti. Circostanze che invece si moltiplicano. Ed ecco che la possibilità di evitare la pena si innalza e insieme si innalza la soglia di percezione della colpa. I ladri di esistenze continueranno a rubare le nostre vite certi che prima o poi qualcuno li renderà liberi come il male.
La maggior parte dei familiari delle Vittime di omicidio o delle Vittime di violenza mettono ogni loro forza a disposizione degli altri perché non debbano mai vivere ciò a cui loro sono stati costretti. Quanti delinquenti lo fanno lo fanno? Quanti assassini decidono di donare il resto della vita a chi soffre pene che non ha cercato? A combattere non per se stessi me per evitare che altri facciano ciò che loro hanno fatto?
E poi l’ergastolo non può essere abolito anche per un altro motivo. Tutto ha un prezzo. E’ il prezzo che si paga che determina il valore di qualcosa. E allora che prezzo diamo alla vita umana? Che “prezzo”/valore dà alla vita chi afferma convinto che l’ergastolo va abolito?
E che cos’è la giustizia se non il tentativo di riportare equilibrio? Cos’è la sicurezza se non la certezza che chi sceglie il male non possa nuocere agli altri?
Per quanto riguarda Musumeci, “l’uomo ombra” che ha avviato la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo a cui politici e intellettuali si sono accodati,  e che forse avrebbe invece dovuto avviare una battaglia per evitare che altri potessero fare ciò che ha fatto lui per meritarlo, chi legge le sue lettere strappalacrime si è chiesto perché è in cella?
Di lui ne ho scritto in abbondanza nel mio libro Vittime per Sempre.  Musumeci afferma che l’ergastolo ostativo “è la morte che ti leva la vita. Che mentre si parla molto di certezza della pena, si fa assoluto silenzio su noi, sepolti vivi, che è più conveniente dimenticare [...] Applicare la pena dell’ergastolo è il più grande male che un uomo possa commettere nei confronti di un altro uomo”.
La morte che ti leva la vita è quella che le persone le mette sotto terra perché la vita non ce l’hanno più. I sepolti vivi sono i genitori di un figlio ammazzato. Come quello che Musumeci, che era un capo mafia, ha ucciso per vendetta. E nelle sue parole, nelle sue lettere, nelle sue battaglie, mai una volta fa riferimento alle sue colpe. Lui dice “non ho potuto esserci mai a un compleanno dei miei figli, dei miei nipoti, della donna che amo. Non c’ero alla laurea di mia figlia, né al matrimonio di mio figlio, non c’ero quando nascevano i miei nipoti e neanche ora posso dare loro una carezza, non posso sperare di andare a riprenderli quando escono da scuola, non ho diritto di sperare di giocare con loro nel parco: sono un fantasma, un uomo ombra”. Anche chi ha ucciso non può più fare tutte queste cose. Ma lui non ne fa cenno. “Applicare la pena dell’ergastolo è il più grande male che un uomo possa commettere nei confronti di un altro uomo”. No. Non è così. Il male più grande che un uomo possa fare a un suo simile è levargli la vita distruggendo anche quelle che a quella vita erano legate. Loro sì, i familiari delle Vittime, vivono un ergastolo ingiusto e innaturale, quello di un dolore che strappa l’anima. 


Basta con questa indulgenza. E’ l’atto che va giudicato, la sua gravita. Non sono importanti le cause. Il perché. Ciò che conta sono il come, cosa e quello che resta. Ci sono reati che, per usare le stesse parole della legge, sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia. Se realizzi il male nel mondo ne paghi il prezzo, nella sua interezza anche quando dura tutta la vita. Come diceva Ennio Flaiano “Sei condannato alla pena di vivere. Domanda di grazia respinta.”
Oggi semmai abbiamo il problema contrario. Le pene sono sempre più miti. Le giustificazioni ai delitti sempre più grandi. Le Vittime vere sono sempre colpevoli e i colpevoli diventano vittime non di se stessi ma del sistema che li ha indotti a compiere delitti orrendi, a diventare delinquenti. Da intellettuali, politici, scienziati mi aspetto che si parli di autodeterminazione. Di scelta. Di responsabilità personale, ben chiara nel primo comma dell’articolo 27 della Costituzione che nessuno cita mai. Mi aspetto che si parli di colpa. Del valore incommensurabile della vita umana e della necessità di proteggerla anche a costo di levare la libertà per sempre a chi l’ha negata. Perché senza la libertà la vita resta. Ma senza la vita non c’è neanche la libertà. Non c’è più niente.

* (Condividendone pienamente il contenuto,pubblichiamo questo articolo di Barbara Benedettelli tratto da "L'IDEALISTA")

martedì 1 aprile 2014

AZIONE POSITIVA DEL MINISTRO ORLANDO PER RIDURRE IL SOVRAFFOLLAMENTO NELLE CARCERI

Carceri: Orlando firma accordo per trasferimento condannati marocchini

1 aprile 2014

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha oggi sottoscritto a Rabat con il ministro della Giustizia e delle Libertà del Marocco, Mustafa Ramid, due Convenzioni, una in materia assistenza giudiziaria e di estradizione, l'altra in materia di trasferimento di detenuti condannati.



La prima consente di rafforzare il sistema di cooperazione e disciplina in maniera più sistematica i presupposti in presenza dei quali l'estradizione può essere concessa, quali il principio della doppia incriminazione.
La seconda Convenzione firmata ha un particolare rilievo perché consente che i cittadini di ciascuno dei due Paesi contraenti, condannati in via definitiva e detenuti nell’altro Stato, possano essere trasferiti nei loro Paesi di origine per scontarvi la pena residua. La finalità della Convenzione è quella di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, facendole scontare la pena nel luogo in cui ha legami sociali e familiari.
Il trasferimento potrà avere luogo, previo consenso del detenuto, dopo una sentenza definitiva che abbia sancito una pena superiore ad un anno e se il fatto che ha dato luogo alla condanna costituisca un reato per entrambi gli Stati.


                                                                Ministro della Giustizia

"Oggi la popolazione marocchina nelle carceri italiane sfiora i 4000 detenuti" ha dichiarato il ministro Orlando. "Questo accordo - ha continuato il ministro - viene siglato nel rispetto delle Convenzioni Internazionali a tutela dei diritti dell'uomo, si inserisce nell'ambito delle iniziative annunciate nella visita a Strasburgo di pochi giorni fa e può contribuire, a regime, ad affrontare le problematiche condizioni del sistema penitenziario italiano, anche consentendo un'espiazione della pena nel luogo in cui molti di questi detenuti hanno mantenuto legami sociali e familiari".