martedì 5 marzo 2013

MANETTE FACILI

Il carcere italiano tra condannati preventivi e dignità negata

(ASI) La condizione degli istituti penitenziari italiani è drammatica: le galere disseminate per la penisola registrano insieme alla Bulgaria il record negativo del più alto sovraffollamento d’Europa. Quasi 67mila detenuti sono stipati in spazi previsti per 45mila persone. La Puglia è la regione italiana col maggior indice di sovraffollamento carcerario. Nelle galere italiane, inoltre, si registra un suicidio ogni cinque giorni, uno ogni mille detenuti. Nei rapporti delle guardie carcerarie si parla di «auto soppressione» o «auto liberazione», ottenuta con i più disperati oggetti che si possono trovare nelle stanze delle prigioni. Solo nel 2011 ci sono stati 66 suicidi in carcere, circa mille tentativi di suicidio e oltre 5400 atti di autolesionismo grave.
Per provare a capire qualcosa in più su questo tema impopolare e troppo spesso dimenticato, è uscito recentemente in libreria il volume scritto da Annalisa Chirico «Condannati preventivi. Le manette facili di uno Stato fuorilegge» (Rubbettino, 2012, pp. 154, 10 euro), un allucinante viaggio nelle maglie della malagiustizia e nel degrado delle carceri. L’autrice, giornalista di Panorama, scrive «che le carceri italiane sono una discarica sociale dove i diritti fondamentali vengono calpestati». Secondo la Costituzione, spiega la Chirico, la pena dovrebbe servire a rieducare il detenuto ma nelle carceri italiane non gli è assicurata nemmeno la branda su cui dormire. I dati sono allarmanti: «Alcuni detenuti chiedono visite mediche invano. I direttori lamentano di non avere le risorse necessarie per garantire un pasto adeguato e per illuminare gli spazi».
I detenuti in attesa di giudizio definitivo, dunque presunti innocenti, superano il 40%, a fronte di una media che negli altri paesi oscilla tra il 10 e il 20%. Il carcere preventivo – che dal 1984 si chiama custodia cautelare – è stato originariamente concepito come mezzo di protezione dell’efficacia delle indagini, ora, invece, «si è trasformata nella prassi ordinaria di anticipazione della pena nei confronti di un presunto innocente». A richiedere la custodia cautelare è il pm, ma il provvedimento deve essere autorizzato dal giudice. Per far questo, però, oltre a gravi indizi di colpevolezza deve sussistere almeno una delle esigenze cautelari tipiche come il pericolo di fuga, l’inquinamento delle prove o la reiterazione del reato. L’applicazione della custodia cautelare «nonostante la tassatività del codice è decisa dal libero arbitrio del pm e dei giudici» e questo, scrive la giornalista di Panorama, «è alquanto discutibile».
Molto spesso, dunque, con l’attuazione della carcerazione preventiva si va in prigione prima del processo, salvo poi essere dichiarati innocenti nel 50% dei casi. La Chirico sottolinea che questa «giustizia» può colpire chiunque ed è evidente dai molti casi trattati e dalle vite spezzate dall’esperienza mortifera del carcere. Nel volume, infatti, l’autrice racconta molte storie, più o meno note: da quella di Alfonso Papa a quella di Elisabeth Gaviria Rojas, nipote di Escobar.
L’ex direttore del carcere di Trieste, Sbriglia, in un’intervista ha affermato che «nelle nostre prigioni si stanno allevando i mostri di domani, persone più preparate e più desiderose di vendetta». E’ evidente che questo tipo di carcere non può (e forse non vuole) rieducare una persona.  L’autrice di «Condannati preventivi» lancia una denuncia amara: il carcere così com’è, «serve solo ad infondere un finto senso di giustizia e a placare l’allarme sociale, vero o presunto che sia». E’ indubbio che ci vogliono provvedimenti urgenti. E la politica se ne dovrebbe occupare al più presto.

di Fabio Polese, www.agenziastampaitalia.it

lunedì 4 marzo 2013

I DIRIGENTI PENITENZIARI RESTERANNO NEL COMPARTO SICUREZZA

COMUNICATO STAMPA   Si.Di.Pe.  (Sindacato Dirigenti Penitenziari)

                   

Dopo che il Si.Di.Pe. ha inviato numerose lettere al Ministro della Giustizia, Prof.ssa Paola Severino, e dopo quella che il 25 febbraio scorso ha inviato anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, Prof. Mario Monti, il Ministro della Giustizia ha deciso di non portare avanti nessuna ipotesi di riduzione del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, che si sarebbe voluta effettuare attraverso un’erronea applicazione dell’art.2 del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 sulla spending reviewLa Prof.ssa Paola Severino, infatti, con grande sensibilità istituzionale e senso di responsabilità, ha ritenuto, di non esercitare, entro il termine di decadenza del 28 febbraio 20132,la facoltà di operare la riorganizzazione del Ministero della Giustizia, che avrebbe potuto effettuare ai sensi del comma 10 ter dell’art.2 del D.L. n.95/2012, attraverso una proposta di d.P.C.M. al Presidente del Consiglio dei Ministri.E’ noto che, per le conseguenze che ne sarebbero discese, tutte le Organizzazioni Sindacali dei dirigenti penitenziari, con un comunicato congiunto dell’11.02.2013, avevano dichiarato lo stato di agitazione e il Si.Di.Pe. aveva denunciato, oltre che la gravità, anche l’incoerenza di una tale riduzione, atteso che il sistema  penitenziario è al collasso e la dirigenza penitenziaria di diritto pubblico è oggi più che mai essenziale. Ad essa, infatti, è demandato per legge il compito di assicurare il governo del sistema dell’esecuzione penale,nelle sue diverse articolazioni, centrali e periferiche(D.A.P., PRAP, Istituti penitenziari, UEPE,ecc.),articolazioni che appartengono, tutte, alla complessiva struttura di sicurezza dello Stato, poiché sono espressione operativa dell'esecuzione della pena e delle misure cautelari detentive e contribuiscono, ad assicurare l'ordine e la sicurezza pubblica.Un’eventuale spending review della dirigenza penitenziaria, a qualunque livello, anche Dipartimentale o Provveditoriale, sarebbe incomprensibile, tanto sotto il profilo logico quanto giuridico, essendo oramai pacificamente riconosciuto, dopo il diretto impegno del Ministro della Giustizia e l’assicurazione del Capo del Dipartimento, che nei confronti della dirigenza penitenziaria (e addirittura dell’intera Amministrazione Penitenziaria) non può trovare applicazione la riduzione degli organici prevista dalla spending review, in virtù dell’esclusione operata prevista dal comma 7 del precitato art.2 D.L. n.95/2012 per  " le strutture e il personale del comparto sicurezza (…)". Non vi è dubbio, infatti, che il personale della carriera dirigenziale penitenziaria rientra pienamente nell’ambito del Comparto Sicurezza, ovviamente in tutte le articolazioni dell’Amministrazione penitenziaria, poiché ad esso sono demandate dall’Ordinamento penitenziario, dal Regolamento di Esecuzione e dal D.Lgs. 15.02.2006 n. 63 funzioni di garanzia dell’ordine e della sicurezza. E, infatti, i dirigenti penitenziari sono da sempre destinatari del trattamento giuridico ed economico del personale dirigente della Polizia di Stato.La decisione del Ministro della Giustizia, Prof.ssa Paola Severino, è senz’altro quell’atto di ordinaria ragionevolezza che il Si.Di.Pe. aveva richiesto, perché non fosse compiuta un’ingiustizia nei confronti dei dirigenti penitenziari, servitori dello Stato che non si sono mai risparmiati e che, nonostante difficoltà insuperabili, hanno sempre responsabilmente assicurato il governo del vacillante sistema penitenziario, a fronte della nota e gravissima emergenza. Alla luce delle dichiarazioni rese unanimemente da pressoché tutte le forze politiche impegnate nelle ultime elezioni, confidiamo che sulla questione non si debba più ritornare.

                                        Il Segretario Nazionale
                                                  Rosario Tortorella