venerdì 20 dicembre 2013

SICUREZZA SOCIALE INNANZITUTTO


Gagliano deve farci paura


La vicenda dell'evasione del serial killer a Genova dimostra le falle nel sistema giudiziario e giuridico - L'intervista al magistrato che ha concesso il permesso - 


Gagliano deve farci paura
I carabinieri con la foto segnaletica di Bartolomeo Gagliano
Credits: ANSA/FRANCO SILVI


di Barbara Benedettelli

Un serial killer semi-infermo di mente e armato è libero grazie a un permesso “premio”. Ha una pistola. La sua firma è uno sparo in bocca. Non è un film. E’ una verità che dimostra come questo Stato sia alla frutta, marcia. Gravissimo che magistrato di sorveglianza  e direttore del carcere non sapessero che stavano mettendo in libertà “il serial-killer di San Valentino”, per di più definito molto pericoloso dalle forze dell'ordine. E se questo è il modus operandi usato di norma per elargire premi e cotillon ai criminali, e più o meno lo è, dobbiamo individuare anche i veri responsabili e intervenire immediatamente, prima che la gente debba patire violenze inaudite a causa di un sistema assassino e incapace di tutelare i cittadini. 
Il pluriomicida aveva già tentato di evadere in passato, durante i permessi premio per giunta, ed è quello che possiamo definire un delinquente per tendenza. Mi viene da definire stolto per tendenza uno Stato che reitera provvedimenti premiali verso persone simili. In questi casi, almeno, la legge non dovrebbe contemplare la possibilità di uscire dal carcere per chi ha ucciso e ha un’indole distruttiva. La risocializzazione non deve essere ad ogni costo, anche al costo di vite umane spezzate. Invece, per “non” risolvere un problema come quello del sovraffollamento carcerario in modo strutturale - a partire dalla revisione del sistema rieducativo premiale che ha dimostrato il suo fallimento - si continuano a fare leggi che demoliscono ogni giorno di più la base sul quale uno Stato si fonda: la certezza che se infrangi una legge ne paghi la conseguenza, anche per tutta la vita se serve. 
E non si gridi all'allarmismo gratuito. Il pericolo è tremendamente concreto. Lo Stato, attraverso leggi sbagliate e funzionari distratti, ha lanciato una bomba sulla folla. Non resta che pregare che non accada ancora ciò che è già accaduto con le stesse modalità: permesso premio, evasione, omicidio. 
Ora la politica ha il dovere di parlare seriamente di responsabilità civile dei magistrati - e anche penale se una scelta implica la violenza o la morte verso anche un solo cittadino. Una responsabilità che è, in primis, del legislatore e di un sistema giudiziario folle, che tutela i delinquenti ogni oltre ragione. Ci sono perfino casi di assassini condannati come incensurati (quindi con le attenuanti) perché, pur avendo commesso altri crimini (passibili dunque di aggravanti per recidiva) questi non sono stati ancora registrati. Follia pura.
Quando si parla di riforma della giustizia non si può prescindere dalla revisione articolo per articolo di tutto il sistema. Come non si può prescindere dalle Vittime dei rei, chissà perché mai contemplate.
Il caso Izzo, costato una condanna della Corte Europea all’Italia, non ha insegnato nulla? Nel 2005, mentre era in regime di semilibertà, Angelo Izzo, conosciuto come “il mostro del Circeo”, ha ucciso Maria Carmela Maiorano e la figlia Valentina, di soli quattordici anni. Le ha uccise con le stesse dinamiche che lo hanno costretto al carcere nel 1975. Leggendo la causa Izzo-Maiorano contro l’Italia, intentata dalla famiglia delle Vittime alla Corte Europea, mi sono soffermata su alcuni punti che riguardano la difesa dell’avvocatura dello Stato. Nella causa si legge che “la responsabilità dello Stato riguardo all’articolo 2 (Diritto alla vita) è messa in discussione soltanto quando vi è un pericolo prevedibile, reale e concreto per la vita”. Ma se un ordinamento giudiziario si avvale del “precedente” per stabilire una condanna riconoscendo forza alla storia della persona, non dovrebbe riconoscere la stessa forza a quella storia quando si tratta di stabilire un beneficio in libertà? Davvero quando ci sono gravissimi precedenti il rischio per l’incolumità delle persone non è prevedibile? 
Andando avanti nella lettura del fascicolo si legge: “La semplice possibilità che un individuo che ha già ucciso possa uccidere una seconda volta non può essere sufficiente; concludere diversamente equivarrebbe rinunciare a priori a qualsiasi misura di reinserimento per gli assassini”. Vengono i brividi. Il reinserimento degli assassini, per di più seriali, vale di più della “semplice” possibilità che possano uccidere ancora? Questo è il pensiero che muove i fili della nostra giustizia? Come si può “prevenire” se si ragiona in questi termini? Davvero la semilibertà di un assassino nella scala dei valori e dei diritti è fondamentale e primaria rispetto alla possibilità (concreta!) che un qualsiasi essere umano innocente e libero possa morire ammazzato? Una “semplice possibilità” può diventare, da un momento all’altro, un’agghiacciante e devastante realtà. Il diritto al reinserimento non può venire prima del dovere della prevenzione.
Non può esserci sempre una scappatoia in grado di mettere la responsabilità personale al secondo, al terzo, all’ultimo posto. Non può farlo nessuno, né il criminale, né la legge, né il magistrato che di quella legge dà un’interpretazione che si riflette spesso in una mezza assoluzione.
L’ordinamento penitenziario è premiale e il premio avrebbe lo scopo che ha la carota per il cavallo. Ma gli uomini non sono cavalli. E non hanno bisogno né di bastone né di carote, ma di regole severe e certe. Non si chiede la tortura, si chiedono pene adeguate al reato e al valore del bene leso o distrutto, e così umane, pur nella severità, da essere in grado di trasformare l’a-moraleinmorale, l’a-socialeinsociale. 
La recidiva non è un’opinione e mentre cerchiamo un metodo educativo sicuro ed efficace al 100 per cento, forse dovremmo, per il bene comune, puntare la bussola del procedimento penale sugli innocenti che i reati non li commettono e sulle Vittime invece che sui criminali. Come scriveva Camus: “Bisognerebbe che la legge, per essere intimidatoria, non lasciasse via di scampo all’omicida, che fosse per principio implacabile e che soprattutto, non ammettesse nessuna circostanza attenuante”, noi invece ci preoccupiamo, prima che della tutela della vita, della risocializzazione degli assassini, anche plurimi. Evviva!
L’articolo 27 della Carta costituzionale afferma al primo comma che «la responsabilità penale è personale», nessuno può essere punito per un fatto che non ha commesso. Giusto. Ma quando lo ha commesso deve essere punito fino all’ultimo giorno di una condanna certa, universalmente accettata, adeguata al crimine commesso, non disumana ma severa e alla quale corrisponda una pena effettivamente scontata. 
L’indiscriminata prevalenza dell’ideologia risocializzativa ha reso ininfluente il principio di pericolosità sociale, presupposto applicativo della carcerazione, verso la quale manca un controllo costante, con i risultati che tutti abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Gozzini, Simeone, indulti più o meno mascherati, hanno svuotato il significato di prevenzione e sicurezza, e i principi fondamentali della pena. La difesa sociale non è più il filo conduttore del sistema. Con il risultato che i criminali aumentano insieme ai loro reati, e pure il sovraffollamento carcerario! 
Per questo Fratelli d’Italia ha depositato un ddl , a prima firma Edmondo Cirielli, che altri partiti dovrebbero valutare, per revisionare l’articolo 27 della Costituzione. Oggi questo articolo si legge solo dal punto di vista dei detenuti e ha perso la sua ragione primaria, che è quella della difesa sociale e della responsabilità penale. Come afferma la Corte Costituzionale con la sentenza numero 12 del 1966, “la rieducazione del condannato, pur nell’importanza che assume in virtù del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio. [...] Rimane in tal modo stabilita anche la vera portata del principio rieducativo, il quale, dovendo agire in concorso delle altre funzioni della pena, non può essere inteso in senso esclusivo e assoluto. [...] E ciò, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende la esistenza stessa della vita sociale.” Ripeto, da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale!

www.panorama.it

mercoledì 18 dicembre 2013

IL KILLER "RIEDUCATO"

Evasione carcere Genova: Cancellieri, episodio gravissimo

18 dicembre 2013

Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in relazione all’evasione di Bartolomeo Gagliano, detenuto in permesso premio dalla Casa circondariale di Genova-Marassi, dichiara quanto segue:

“Si tratta di un episodio gravissimo che richiede un accertamento molto rigoroso. Inutile negare che questo rischia di essere un duro colpo a quanto stiamo facendo per rendere il carcere un luogo più civile e in grado di assolvere alla propria funzione rieducativa. Faremo chiarezza ed individueremo eventuali responsabilità. Fatti di questo genere non possono e non devono accadere.” 

mercoledì 11 dicembre 2013

INDULTO.I NUMERI DICONO DI NO

La riforma delle carceri va fatta ma su basi solide. Ecco cosa dicono le cifre del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria)

Indulto. I numeri dicono no
Il Carcere di Varese
Credits: ANSA/ENZO LAIACONA

di Barbara Benedettelli
Il Colle chiede responsabilità al Parlamento sull'indulto. Dovrebbe invece chiedere responsabilità verso i cittadini e verso le vittime dei reati e pretendere, come chiede la Corte Europea con al Sentenza Torregiani, una riforma strutturale del sistema carcerario, penale e penitenziario che non contempli, come si legge nella sentenza pilota, provvedimenti come indulto e amnistia. 
La riforma è necessaria ma va fatta su basi solide. Non si può fare una riforma basandosi su dati scorretti, incompleti e faziosi.
La comparazione tra i recidivi che hanno usufruito del beneficio dell'indulto 2006 e quelli che non ne hanno usufruito decantata da più parti per mostrare che l’indulto è una “misura educativa”, è di fatto impossibile. Il risultato che ne emerge è scorretto e viene utilizzato in modo distorto.
Dopo l’indulto, secondo i dati forniti dal Ministro Cancellieri a ottobre del 2013, il numero dei detenuti è cresciuto, rispetto a prima, in media di 7000 soggetti in più ogni anno. Il ritmo di crescita dei detenuti è stato alto per i primi quattro anni successivi, fino a giungere, nel 2009, a un picco di oltre 69.000 presenze in carcere, 30.000 in più di quelli presenti dopo l’applicazione dell’indulto.
Per quanto riguarda la recidiva di chi non ha usufruito dell’indulto viene utilizzato il dato emerso dalla rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del DAP, citata dallo studio di Fabrizio Leonardi (2007), che ha mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, ha fatto reingresso in carcere una o più volte. Il periodo di riferimento (1998-2005) è però superiore di due anni rispetto al dato rilevato per la recidiva di indultati, che invece si ferma a 4 anni (2007-2011). E due anni in più possono incidere notevolmente sulla percentuale.
Ma la cosa più rilevante ai fini della scorrettezza del dato rispetto a ciò che dovrebbe rappresentare, è nel fatto che non tiene conto di coloro che hanno reiterato dopo avere usufruito dell’indultino del 2003. 
Per quanto riguarda invece il dato utilizzato per la comparazione riguardante i recidivi indultati nel 2006, se si usa l’ultimo disponibile che si ferma a dicembre 2011, pari al 33,92%, si mostra un dato parziale in quanto non tiene conto di coloro che hanno usufruito del beneficio e che si trovavano alle misure alternative. Ma anche unendo recidivi che erano in carcere + recidivi che erano alle misure alternative, la percentuale che ne risulta resta parziale.
Il numero riguardante gli indultati che erano alle misure alternative è infatti stato rilevato su un campione di ex-detenuti pari a 7.615 su un totale di 17.387 individui, a differenza del dato di recidiva di indultati che erano in carcere che riguarda la totalità. Inoltre, la rilevazione sul campione è terminata nell’ottobre del 2008 ovvero tre anni prima di quella sui recidivi che erano usciti dal carcere. 
Aggiungiamo una riflessione: prima dell’indulto le persone che erano alle misure alternative non creavano certo il problema del sovraffollamento, ci chiediamo dunque per quale motivo fossero state liberate anzitempo, anche in virtù del fatto che la messa in prova è ritenuta, dai detrattori delle misure detentive in carcere, altamente rieducativa. Perché interrompere prima del tempo un trattamento ritenuto efficace? Su certe personalità fragili l’idea che alla fine non si paga mai del tutto per i reati commessi può essere considerata davvero rieducativa? Noi crediamo di no. Inoltre al danno si aggiunge la beffa.
Chi era alle misure alternative (e non occupava posti in carcere), ed è rientrato per avere commesso nuovi reati con una pena ovviamente superiore a quella che stava scontando prima dell’indulto, non andrà certo nuovamente alle misure alternative ma diritto in cella, contribuendo ad alimentare quel sovraffollamento che si afferma di voler eliminare. Possiamo chiamarla follia di Stato? Viene da pensare che non ci sia la volontà politica di risolvere questo problema definitivamente, perché altrimenti sarebbe impossibile fare passare in futuro altri provvedimenti di clemenza, che sono sempre stati un mezzo da utilizzare per compromessi e accordi politici di cui non ci è dato sapere.
Detto ciò, a noi interessa sottolineare che, sia il 10%, il 40% o il 70%, nella percentuale che si propina come un successo in termini di recidiva non ci sono solo i detenuti, ma ci sono anche i cittadini certamente innocenti che i reati li hanno subiti a causa di un provvedimento scellerato dello Stato. Ci sono le Vittime, che non possono essere considerate un peso, un effetto collaterale secondario, e che anzi fanno parte a pieno titolo dei costi sociali e umani di tali provvedimenti. Costi a volte così elevati da non poter essere nemmeno quantificati, specie quando si tratta di vite spezzate.
I reati i cui autori possono beneficiare dei provvedimenti di clemenza sono proprio quelli di maggiore allarme sociale, quelli che toccano le persone nella loro quotidianità come le rapine, i borseggiamenti, i furti. Reati che, come si dimostra l’elenco che segue, non escludono, anche grazie al senso d’impunità provocato dal provvedimento, che si vada oltre fino a uccidere:
Salvatore Buglione, rapinato da due delinquenti, uno dei quali indultato, mentre chiudeva l’edicola della moglie. E’ morto con una coltellata nel cuore.
Antonio Pizza, ventotto anni, sposato e padre di un bimbo di pochi mesi, è morto dopo una lunga agonia durante una rapina commessa da un criminale slavo, uscito pochi giorni prima grazie all’indulto.
Aniello Scognamiglio, 16 anni, investito e ucciso a Torre del Greco da ubriaco e drogato al volante. L’omicida, libero grazie all’indulto, in carcere ci era entrato per spaccio di stupefacenti, violenza, resistenza a pubblico ufficiale e reati vari contro il patrimonio
Paolo Cordova, farmacista, ucciso durante una tentata rapina da chi prima dell’indulto era dentro perché ne aveva commesse altre sei.
Luigia Polloni, morta strangolata per mano di un tossicodipendente indultato durante una rapina. Ne aveva alle spalle ben 25.
Antonio Allegra, morto sparato da Pietro Arena, fuori grazie all’indulto nonostante un tentato omicidio.
Barbara Dodi, 46 anni con due figlie a carico, strangolata in camera da letto con una cinta dal marito, già condannato per tentata rapina e libero grazie all'indulto.
Guido Pelliciardi e Lucia Comin, torturati, seviziati e poi uccisi in provincia di Treviso da un rumeno e da due albanesi irregolari che avevano già commesso rapine e violenza sessuale, fuori grazie all’indulto (ma la violenza sessuale non era reato escluso dal provvedimento?).
Antonella Mariani, 77 anni, aggredita e scippata cade a terra e sbatte la testa. L’assassino (eroinomane) aveva da pochi mesi beneficiato dell'indulto (siamo nel 2008), era in carcere per rapine e sequestro di persona
Florinda De Martino, mamma di 35 anni, uccisa a colpi d’ascia il 23 luglio del 2009 in un villino del quartiere Camaldoli a Napoli. Il fidanzato assassino nel 2002 aveva tentato di uccidere la ex moglie. Tentativo fallito solo perché la lama del coltello si spezzò nell’addome della donna. Condannato a sei anni con sconto per indulto (nonostante recidivo) è arrivato a tre, da cui vanno decurtati 9 mesi di sconti automatici.
Una sorte di condanna a morte autorizzata dallo Stato, quella ricevuta da questi e da altre decine di cittadini innocenti “morti d’indulto”, che hanno ricevuto un trattamento disumano di cui nessun umanitario si preoccupa. Queste persone sono solo una minuscola parte di quelle che sono morte ammazzate da chi era fuori grazie all’indulto del 2006, e non abbiamo dati relativi a quello parziale del 2003, ma ne basterebbero due per rendere lo Stato, e tutti coloro che hanno votato quel provvedimento, mandanti di pluriomicidio.
L’elenco appena mostrato afferma con forza e chiarezza che l’impunità è altamente diseducativa (contraria dunque all’art.27 della Costituzione tirato in ballo spesso a proprio comodo e del quale si dimentica il principio di responsabilità penale). Queste persone oggi potrebbero essere ancora vive se quell’indulto non ci fosse mai stato.
Invece sono morte e per niente, perché già dopo due anni la capienza regolare era superata e perché alla fine questi provvedimenti hanno un solo “pregio”, permettere ai politici di rilassarsi sugli allori, mentre la gente, fuori e dentro le carceri, muore. Si parli di legalità all’interno delle carceri, di diritto alla dignità, siamo d’accordo, ma senza mai dimenticare che l’unica libertà che deve essere tutelata sopra ogni altra è quella che rispetta i confini delle libertà altrui.
Se vogliamo davvero risolvere il problema del sovraffollamento, del sistema rieducativo, della sicurezza dei cittadini, dobbiamo lavorare su dati corretti. Una comparazione che si possa dire credibile e realistica deve essere effettuata su dati rilevati con lo stesso metodo statistico e nello stesso arco temporale. 

mercoledì 13 novembre 2013

TAMBURINO (Dap); abbiamo trend positivo, calano i detenuti e aumentano i posti

            


È un "trend positivo" quello che si registra oggi nelle carceri italiane con una diminuzione, negli ultimi mesi, del numero dei detenuti in cella e, contemporaneamente, l'aumento di posti letto disponibili.
A sottolinearlo è stato il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, nel corso di un convegno a Regina Coeli. "Il numero dei detenuti ieri si attestava a 64.333 unità mentre nel 2010 eravamo arrivati a 69.000 reclusi - ha rilevato - c'è un calo di 5.000 detenuti in tre anni e, negli ultimi mesi, abbiamo assistito alla diminuzione settimanale di circa cento unità.
Proiettando questi dati in un anno, si può prevedere che potrebbe esserci una diminuzione di oltre 4-5 mila detenuti. Credo che potremmo scendere sotto la soglia dei 60.000 nei prossimi mesi". A ciò si aggiunge, osserva Tamburino, l'aumento di posti letto nei penitenziari "con almeno duemila posti nuovi, l'apertura di tre istituti nuovi in Sardegna e altri reparti in altre parti d'Italia. I posti disponibili arriveranno a 50.000".
Vi è inoltre una "rapida riduzione" dei "casi più estremi, che giustamente sono da considerare disumani", ha detto il capo del Dap, riferendosi a quei detenuti che vivono in spazi inferiori ai tre metri quadrati. In calo, poi, sono anche i casi di "autolesionismo e i fenomeni di aggressività. Questi sono indicatori - conclude Tamburino - da cui si può desumere che abbiamo imboccato la direzione giusta".

Strasburgo? non lavoriamo a una proroga

"Noi non lavoriamo per ottenere una proroga" dalla Corte di Strasburgo - che ha condannato l'Italia per trattamento disumano nelle carceri dandole tempo fino a maggio per adeguarsi - "ma per risolvere interamente il problema. Io ritengo che la Corte sia in condizione di valutare la serietà e oggettività dei passi che un paese compie e trarne un equo giudizio". Lo ha detto il capo del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, a margine di un convegno organizzato a Regina Coeli dal Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario-Seac, a pochi giorni dalla trasferta a Strasburgo del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Tamburino ha sottolineato che Strasburgo ha dato "una valutazione molto positiva" del lavoro che l'Italia sta facendo, e allo stesso tempo "l'Europa ci ha detto: vi terremo d'occhio e mese per mese vorremo sapere come procede". "È difficile pensare che solo con le misure finora prospettate riusciremo a ottenere al 100% le soluzione che la Corte ci chiede", ha spiegato Tamburino, che si è rifatto al messaggio del Presidente della Repubblica sulle carceri inviato alle Camere un mese fa. "Io credo che il messaggio del Capo dello Stato colga la necessità di un intervento straordinario", ha detto il numero uno del Dap. Un provvedimento di clemenza?, gli è stato chiesto. "Un intervento straordinario - ha risposto - può essere modulato con diverse soluzioni di carattere giuridico. La più tradizionale è quella dell'indulto e dell'amnistia, ma non è detto che sia solo questo, ci possono essere anche altri strumenti di natura eccezionale legati alla contingenza". Tamburino non si è addentrato oltre, ma il riferimento potrebbe essere a un forte intervento di depenalizzazione.

Ogni recluso costa 100-120 euro al giorno

Riguardo ai costi del sistema carcere nel suo complesso, "ogni anno 2.800 milioni di euro vengono assegnati dal bilancio dello Stato al settore", ha spiegato Tamburino, "l'80-85% dei quali sono costi fissi, non modificabili nel breve periodo", come i costi del personale - che pure è stato "toccato dai tagli legati alla razionalizzazione delle risorse" - e delle strutture, "200 istituti per 400mila metri quadri di superfici". Al Dap nel suo complesso afferiscono "circa 40mila persone". Quanto al "costo giornaliero per ogni detenuto è tra i 100 e i 120 euro". Ma c'è anche un costo di altra natura, "un costo umano, che spesso è difficile da quantificare, legato alla diminuzione dell'abilità sociale, lavorativa, psico-fisica e a volte anche etica del detenuto. Un costo che diventa anche costo economico. Su questo piano noi abbiamo solo cifre sui flussi di recidiva - ha detto Tamburino - mentre molto c'è da fare, ed è essenziale il ruolo del volontariato, nella valutazione del dopo carcere per gli ex detenuti".

Un call center per segnalazioni detenuti

"Ci sono già detenuti che lavorano molto bene per dei call center. Perché non farne uno per le segnalazioni che riguardano gli stessi detenuti?". È la proposta lanciata oggi dal capo del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, nel corso di un convegno cui costi del carcere organizzato a Regina Coeli dal Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario-Seac. Tamburino ha ricordato l'esperienza dei call center che coinvolge detenuti di Padova, Bollate e Roma "gestiti in maniera eccellente" e ha prospettato l'intenzione di estendere questo modello anche per l'apertura di un call center dedicato alle segnalazioni di situazioni di disagio degli stessi detenuti.

Agi,novembre 2013

venerdì 8 novembre 2013

LA RIEDUCAZIONE IN CINA



Una lettera da un campo di lavoro cinese

Una donna la trovò in un pacco di decorazioni di Halloween, sei mesi fa: il New York Times forse ha trovato il suo autore


letteracina
Il New York Times ha ripubblicato un’immagine della prima pagina della lettera, che sembra scritta su una pagina strappata da un’agenda, scritta in un inglese che contiene diversi errori e in cui sono inserite diverse espressioni in cinese (la foto accanto si ingrandisce con un clic):

Sir:
If you occassionally buy this product, please kindly resend this letter to the World Human Right Organization. Thousands people here who are under the persicution of the Chinese Communist Party Government will thank and remember you forever.
This product produced by Unit 8, Department 2 Mashanjia Labour Camp, Shenyang, Liaoning, China (serie di circa 20 ideogrammi cinesi).
People who work here, have to work 15 hours a day without Saturday-Sunday break and any holidays. Otherwise, they will suffer torturement (ideogrammi) beat and rude remark (ideogrammi). nearly no payment (10 yuan / 1 month).
People who work here, suffer punishment 1-3 years averagelly, but without Court Sentence (unlaw punishment) (ideogrammi). many of them are Falungong practitioner, who are totally innocent people. only because they have different believe to CCPG (ideogrammi), they often suffer more punishment than others.

Signore,
se per caso ha comprato questo prodotto, per favore sia così gentile da inviare questa lettera all’Organizzazione Mondiale per i Diritti Umani. Migliaia di persone perseguitate dal governo del Partito Comunista Cinese la ringrazieranno e ricorderanno per sempre.
Questo prodotto [è stato] creato dall’Unità 8, Dipartimento 2 del Campo di Lavoro di Mashanjia, [città di] Shenyang, [provincia di] Liaoning, Cina.
Le persone che lavorano qui devono lavorare 15 ore al giorno senza pause per il sabato e la domenica o per qualsiasi festività. Altrimenti vengono torturate, picchiate e insultate. Non c’è quasi pagamento (10 yuan [1,2 euro] al mese).
Le persone che lavorano qui sono punite in media 1-3 anni, ma senza una sentenza di tribunale (punizione illegale). Molti di loro sono fedeli del Falun Gong, persone assolutamente innocenti [che sono punite] solo perché hanno convinzioni diverse rispetto al Partito Comunista Cinese. Spesso loro soffrono punizioni più severe rispetto agli altri.
L’autore della lettera diceva di essere un prigioniero del campo di lavoro di Masanjia, nella provincia nordorientale di Liaoning, a qualche centinaio di chilometri dal confine con la Corea del Nord. Diceva che il prodotto era frutto del lavoro dei prigionieri del campo, che lavoravano 15 ore al giorno senza avere alcun giorno di pausa, ricevendo una paga bassissima e venendo sottoposti a torture e abusi da parte delle guardie.
La lettera ricevette molta attenzione e fece tornare d’attualità le condizioni nei campi cinesi di “rieducazione attraverso il lavoro”, un sistema di colonie penali in cui si può essere imprigionati fino a quattro anni senza un processo. Data anche l’impossibilità di verificarne l’autore, rimasero i dubbi sull’autenticità della lettera e si avanzò l’ipotesi che fosse un gesto dimostrativo di qualche gruppo di attivisti o di un artista che desiderava portare l’attenzione sul caso.
Negli ultimi mesi è in corso in Cina un dibattito definito dal New York Times “insolitamente aperto” sul futuro dei campi di rieducazione, e decine di ex prigionieri hanno raccontato la propria storia. Nel corso di una serie di interviste con gli ex prigionieri, in mezzo alle descrizioni di torture e violenze (pestaggi, detenuti incatenati per ore, giorni di privazione del sonno), un uomo di 47 anni ha detto di aver scritto segretamente una ventina di lettere nel corso di due anni, che ha poi inserito in confezioni con l’imballaggio scritto in inglese, nella speranza che arrivassero in Occidente.
L’uomo, che si è voluto identificare solo con il cognome “Zhang” per timore di ritorsioni, abita a Pechino ed è membro del Falun Gong, un movimento spirituale fondato in Cina nei primi anni Novanta e che è pesantemente perseguitato dal governo cinese. I membri del Falun Gong, insieme agli oppositori politici e ai piccoli criminali, costituiscono gran parte della popolazione del sistema cinese dei “campi di lavoro” e, nel caso di Masanjia, sono circa la metà dei prigionieri. Spesso sono bersagliati più degli altri dalle guardie, in particolare se non rinunciano alla propria fede.
Nel corso della sua prigionia, ha detto l’uomo, ha fantasticato a lungo sulla possibilità che le sue lettere venissero ritrovate all’estero, ma ha aggiunto: «Con il passare del tempo ho smesso di sperare e me ne sono dimenticato». La testimonianza dell’uomo dal campo di Masanjia, scrive ilNew York Times, è confermata da altre simili di ex prigionieri. La sua calligrafia e la sua scarsa conoscenza dell’inglese sembrerebbero confermare che l’autore delle lettere è lui, aggiunge il giornale americano con molta cautela.
Per scrivere le lettere, Zhang, rilasciato dal campo di prigionia nel 2010, ha lavorato di notte e di nascosto dagli altri detenuti, con carta e penna rubate mentre stava pulendo in alcuni uffici. Tutta la vicenda ha anche un altro risvolto: la scatola di decorazioni di Halloween è arrivata in un supermercato della catena Kmart di Oregon, negli Stati Uniti, in cui è vietato vendere prodotti frutto di lavoro forzato (i rappresentanti di Kmart hanno detto che non hanno riscontrato irregolarità tra i propri fornitori). Il NYT descrive così il lavoro all’interno del campo:
Molto del lavoro consisteva nel produrre abiti per il mercato cinese o uniformi per la Polizia Armata del Popolo. Ma i detenuti dicono che hanno anche prodotto ghirlande natalizie destinate alla Corea del Sud, imbottiture di cappotti con piume d’oca che avevano l’etichetta “Made in Italy” e fiori finti che sarebbero stati venduti negli Stati Uniti, secondo quanto ripetevano le guardie. «Quando stavamo facendo prodotti per l’esportazione, dicevano “È meglio se fate molta attenzione con questi”», ha detto Jia Yahui, 44 anni, un ex prigioniero che ora vive a New York.
Da " IL POST"

mercoledì 6 novembre 2013

DETENUTI PRESENTI NEI CARCERI ITALIANI AL 31 OTTOBRE 2013

Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari per regione di detenzione - Situazione al 31 ottobre 2013

Regione
di
detenzione
Numero
Istituti
Capienza
Regolamentare
(*)
Detenuti
Presenti
di cui
Stranieri
Detenuti presenti
in semilibertà (**)
TotaleDonneTotaleStranieri
Abruzzo81.5342.02273255120
Basilicata3441438175720
Calabria132.4812.74757344170
Campania175.8078.0923669662203
Emilia Romagna122.3683.7671432.0074710
Friuli Venezia Giulia554881225464226
Lazio144.7997.1004992.9067012
Liguria71.0591.775721.030296
Lombardia195.8838.9085673.978678
Marche78471.0433045520
Molise339146705520
Piemonte133.8434.7731772.344407
Puglia112.4653.846209721813
Sardegna122.5862.05737689200
Sicilia265.5407.0091511.1971045
Toscana183.2754.1241652.2137221
Trentino Alto Adige22804131930142
Umbria41.3421.61160643150
Valle d'Aosta1181234016932
Veneto101.9983.0851331.792315
Totale nazionale20547.66864.3232.80022.58686090
(*) Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. 
(**) I detenuti presenti in semilibertà sono compresi nel totale dei detenuti presenti.
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica