venerdì 7 febbraio 2014

SOVRAFFOLAMENTO ED ESTRADIZIONE DETENUTI STRANIERI

Lettere: carceri sovraffollate, la soluzione è estradare i detenuti stranieri





di Bruno Ferraro (Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione)






È un problema del quale ho cognizione indiretta oggi, ma diretta e personale in passato, visto che negli anni Novanta me ne sono occupato come direttore di tutto il personale civile dell'amministrazione penitenziaria (ministri l'onorevole Martelli e il professor Vassalli). Su di esso, pertanto, sono in grado di esprimere le mie osservazioni senza essere condizionato da facili suggestioni e senza essere tentato come troppo spesso per tanti personaggi, da strumentalizzazioni di maniera.
Il cosiddetto pacchetto giustizia di fine anno 2013 prevede una serie di interventi per ridurre di 1700 detenuti le presenze nelle affollate carceri italiane: affidamento in prova ai servizi sociali fino ad un massimo di 4 anni di pena (contro gli attuali 3), arresti domiciliari per gli ultimi 18 mesi, espulsioni più facili per i detenuti stranieri, braccialetto elettronico solo nei casi di detenzione domiciliare. È la risposta al presidente Napolitano che, sulla scia di ripetuti moniti europei, aveva sottolineato "il dovere costituzionale e l'imperativo morale" di intervenire per eliminare il sovraffollamento degli istituti penitenziari (65.000 presenze a fronte di una capienza massima prevista dì 48.000): monito caduto nel vuoto perché un'ipotetica amnistia o indulto avrebbe potuto favorire l'ex premier Berlusconi (quando si dice che la persona del Cavaliere è una sorta di macigno, ma anche un alibi, sulla strada delle non riforme nel settore giustizia). Un'amnistia oggi sarebbe possibile, e forse anche opportuna, purché ne siano chiari i motivi e gli obiettivi, e non si tratti di un atto di clemenza fine a se stesso.
Non ha senso liberare un detenuto se, rientrato in società, non ha alcuna prospettiva, per cui sarà costretto nuovamente a delinquere. Con l'indulto si risolverebbe al momento il problema del sovraffollamento e però, senza un piano di prospettiva, la situazione tornerebbe a essere drammatica in breve tempo. Rimettendo in libertà migliaia di detenuti, si riduce inoltre l'efficacia della pena e si mette in discussione la sicurezza dei cittadini. D'altro canto, non capisco davvero le resistenze all'uso del braccialetto elettronico basate su una presunta tutela della privacy del soggetto, il quale senza il braccialetto e dentro un carcere non disporrebbe certamente di una situazione di maggiore riservatezza.
Il sovraffollamento, in buona sostanza, è determinato dal numero eccessivo di soggetti in custodia cautelare (cioè finiti in cella prima del giudizio definitivo) ed è su questo che occorre prima intervenire, utilizzando sistemi che hanno dato buoni risultati in altri Paesi. Un esempio: per i detenuti stranieri, in numero preponderante, sarebbe sufficiente concludere accordi con i loro Paesi per estradarli in esecuzione di pena, evitando la beffa di doverli mantenere nelle nostre carceri a spese dei contribuenti italiani.
Potrei continuare, ma mi fermo qui. Già negli anni Novanta le carceri italiane non erano al di sotto degli standard europei. Non sono affatto convinto che l'elevato numero di servizi all'interno delle nostre carceri (educatori, assistenti sociali, psicologi, volontariato esterno) le abbiano rese peggiori di quelle straniere di cui poco sì parla. Ma tant'è, noi italiani abbiamo una spiccata propensione a recitare il mea culpa a fini di polemiche interne e di facili strumentalizzazioni: dimenticando che ci siamo inventati di tutto (magistratura di sorveglianza, arresti domiciliari, detenzione domiciliare, semidetenzione, semilibertà) per ridurre il disagio" di finire in carcere.
Portando il discorso tino alle estreme conseguenze, mi sentirei invogliato a chiedere ai facili detrattori del carcere che cosa propongono di concreto come alternativa alla pena. Se la pena serve come risposta della società a chi con il reato ha messo in discussione i principi della convivenza sociale; se la funzione emendativa della pena è solo eventuale e concorrente, non certo primaria rispetto a quella repressiva; il problema dovrebbe essere non "meno carcere e più libertà", bensì "umanizzare e civilizzare" la permanenza negli istituti penitenziari. Ma tant'è, siamo nell'Italia del tutto e del suo contrario.

da "LIBERO" - 5 febbraio 2014

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