Per provare a capire qualcosa in più su questo tema
impopolare e troppo spesso dimenticato, è uscito recentemente in libreria il
volume scritto da Annalisa Chirico «Condannati preventivi. Le manette facili di
uno Stato fuorilegge» (Rubbettino, 2012,
pp. 154, 10 euro), un allucinante viaggio nelle maglie della malagiustizia e
nel degrado delle carceri. L’autrice, giornalista di Panorama, scrive «che le
carceri italiane sono una discarica sociale dove i diritti fondamentali vengono
calpestati». Secondo la Costituzione, spiega la Chirico, la pena dovrebbe
servire a rieducare il detenuto ma nelle carceri italiane non gli è assicurata
nemmeno la branda su cui dormire. I dati sono allarmanti: «Alcuni detenuti
chiedono visite mediche invano. I direttori lamentano di non avere le risorse
necessarie per garantire un pasto adeguato e per illuminare gli spazi».
I
detenuti in attesa di giudizio definitivo, dunque presunti innocenti, superano
il 40%, a fronte di una media che negli altri paesi oscilla tra il 10 e il 20%.
Il carcere preventivo – che dal 1984 si chiama custodia cautelare – è stato
originariamente concepito come mezzo di protezione dell’efficacia delle
indagini, ora, invece, «si è trasformata nella prassi ordinaria di
anticipazione della pena nei confronti di un presunto innocente». A richiedere
la custodia cautelare è il pm, ma il provvedimento deve essere autorizzato dal
giudice. Per far questo, però, oltre a gravi indizi di colpevolezza deve
sussistere almeno una delle esigenze cautelari tipiche come il pericolo di
fuga, l’inquinamento delle prove o la reiterazione del reato. L’applicazione
della custodia cautelare «nonostante la tassatività del codice è decisa dal
libero arbitrio del pm e dei giudici» e questo, scrive la giornalista di
Panorama, «è alquanto discutibile».
Molto spesso,
dunque, con l’attuazione della carcerazione preventiva si va in prigione prima
del processo, salvo poi essere dichiarati innocenti nel 50% dei casi. La
Chirico sottolinea che questa «giustizia» può colpire chiunque ed è evidente
dai molti casi trattati e dalle vite spezzate dall’esperienza mortifera del
carcere. Nel volume, infatti, l’autrice racconta molte storie, più o meno note:
da quella di Alfonso Papa a quella di Elisabeth Gaviria Rojas, nipote di
Escobar.
L’ex direttore del carcere di Trieste, Sbriglia, in
un’intervista ha affermato che «nelle nostre prigioni si stanno allevando i
mostri di domani, persone più preparate e più desiderose di vendetta». E’
evidente che questo tipo di carcere non può (e forse non vuole) rieducare una
persona. L’autrice di «Condannati preventivi» lancia una denuncia
amara: il carcere così com’è,
«serve solo ad infondere un finto
senso di giustizia e a placare l’allarme sociale, vero o presunto che sia». E’ indubbio che ci vogliono
provvedimenti urgenti. E la politica se ne dovrebbe occupare al più presto.